Processo a Gesù [2008]
Nei primi anni del ‘900 cominciava a crescere in Europa quell’odio razziale che si rivelò poi il seme e la linfa della barbarie nazista.
In quegli anni, una famiglia di ebrei girovagava per le piazze di tutta Europa con in mano un canovaccio, che ogni sera veniva proposto in modo diverso a seconda della partecipazione del pubblico. L’oggetto della rappresentazione non era, come si può presumere dal titolo, un rifacimento del processo celebrato fra le stanze del potere ebreo e romano 2000 anni fa, ma bensì la proposta di una analisi collettiva su un tema fondamentale: era giusto o no condannare Gesù Cristo secondo la legge giudaica di allora ?
Su questo interrogativo, e sulla esperienza di quella famiglia, Diego Fabbri ha scritto questo memorabile pezzo del teatro italiano, che prescinde dal personaggio storico o evangelico, per mettere al centro l’uomo. Ed è qui che trova spazio sopratutto l’uomo di oggi.
La vicenda nella vicenda infatti, che si dipana via via che il testo procede quasi ad immagine del teatro Pirandelliano, ne fa un dramma di scottante attualità dove i “personaggi nei personaggi” si confondono e si identificano con le nostre vicende quotidiane.
La prima difficoltà nell’allestire il Processo l’ho trovata nel testo a mio parere troppo lungo (più di tre ore). Ho letto cinque o sei riduzioni ma nessuna di esse mi ha convinto: alcune “tagliavano” personaggi inamovibili, come Maria di Nazareth, mentre altre addirittura la stessa famiglia ebrea.
Così mi sono sentito in dovere di fare una nostra riduzione cercando di mantenere in essa l’impianto strutturale originario del lavoro di Fabbri.
Il secondo ostacolo è stato fare coesistere sul palco, nel senso più esteso e aperto del termine, tre nuclei distinti di personaggi: l’azione infatti, come vedrete, si dipana in tre tempi e luoghi diversi.
Infine la terza e più importante complessità è stata trasmettere l’emozione. Si, quell’emozione per Gesù Cristo della quale, per dirla con Fabbri, talvolta oggi ci vergogniamo.
Credo sia importante, in un tempo di decadentismo culturale e di sbrigliato consumismo, trovare il coraggio di gridare forte i nostri valori e le nostre tradizioni.
Il risultato mi dirà se ci sono riuscito. Le luci in chiaro scuro, le scene scarne e simboliche, le musiche di J. S. Bach e soprattutto la passione degli attori mi aiuteranno a condurvi in una serata che non oso definire di divertimento, ma che ha piuttosto l’intento di stimolare in voi una profonda riflessione sul nostro essere nel mondo d’oggi.
E tutto questo, sia ben chiaro, al di fuori di quello che può essere il vostro credo personale.
Massimo Perrone
Informazioni:
Tipologia: dramma
Durata: 2:30 ore circa (esclusi intervalli)
Scene: Renato Mandelli e Diana Bestetti
Costumi: Luisa Castelli
Luci e audio: Cesare Cavalera e Marco Valcamonica
Grafica: Valentina Bestetti
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